Passare da Sunderland a Chelsea è come passare da una ragazza brutta alla più bella della classe, non c’è assolutamente paragone; quando gli abitanti del Nord se la prendono con i southern softies, infatti, elencano una serie di caratteristiche che corrispondono esattamente agli abitanti del Royal Borough di Kensington and Chelsea:
in questo quartiere, non a caso, l’aspettativa di vita è la più alta del Regno Unito, unita ad un tasso di disoccupazione minore rispetto a Norvegia e Svezia; il Borough detiene il maggior numero in percentuale di paperoni, ed è indicatore delle mode che poi si apriranno a raggiera verso tutto il regno ed il mondo intero.
Il borough è tagliato a metà dalla celebre King’s Road, che parte da Sloane Square, patria delle smorfiose figlie di papà inavvicinabili a meno di non essere in possesso di un Mastercard molto calda, e continua per 3.2 fino a Putney. In questi chilometri è racchiusa buona parte della storia del West End cittadino: Mary Quant, prima di ottenere il successo planetario con la sua minigonna, operava in una piccola boutique qui sulla King’s Road, dove le strade negli anni Sessanta erano falciate da ragazzi che indossavano tutti pantaloni a zampa di elefante; negli anni successivi gli hippie, genere raro in Inghilterra, da sempre patria di sottoculture violente e di estrazione popolare, non certo terra da peace&love, trovarono proprio qui a Chelsea il luogo adatto per poter esprimere i propri valori, venendo rimpiazzati negli anni successivi dai punk: il West End, così legato alla finanza ed alle distinzioni sociali, si trova così assediato da orde di giovani che noncuranti del pubblico decoro bevono, fumano e si drogano tranquillamente in strada, distruggendo tutto quello che trovano sulla loro strada. Paradossalmente,
i Sex Pistols trovano più seguaci qui che nel popolare East End, da sempre luogo più portato alla violenza: ma i gruppi punk che spopolano in altre zone della capitale parlano di fatti concreti, come violenza da stadio e rivendicazioni politiche, mentre i Pistols non portano avanti un’idea, ma solo un’anarchia fine a se stessa; proprio quel tipo di anarchia che attrae i giovani della zona, troppo ricchi per pensare alle popolazioni del terzo mondo e troppo vogliosi di liberarsi dalla catene familiari.
Ora tutto questo è sparito: il West End è di nuovo un’area borghese e molto signorile, dove i figli non si inseriscono chiodi per il corpo ma frequentano diligentemente scuole private da ventimila sterline all’anno, ed alle ragazze non è consentito il binge drinking a furia di caraffe nei pub e discoteche londinesi, ma Cosmopolitan o Martini con l’oliva in sontuosi ricevimenti organizzati dai baroni della finanza, tra cui figurano talmente tanti francesi che questo borough viene soprannominato il ventunesimo arrondissement di Parigi. Notting Hill, un tempo patria dei caraibici, ora offre seminterrati spacciandoli per case post-moderne a prezzi astronomici, ed il mercatino è ormai disertato dalla gente del luogo, che sa che qui non ci si trova più nulla di tipico, mentre i faciloni italiani scandagliano la zona al solo scopo di farsi un selfie taggandosi a Notting Hill.
Questo rappresenta il West End: un luogo fondamentale per l’identità britannica. Il luogo principale in Inghilterra dover poter arricchirsi e guadagnare posizioni nella scala sociale, ma dove il fallimento non è concepito, e non bisogna sbagliare una mossa pena l’esclusione della casta. Per questo il derby col Chelsea è molto sentito, non per mere questioni calcistiche (il derby con l’Arsenal è molto meno sentito dalle parti di Upton Park), ma sociali: il Chelsea rappresenta l’esatto contrario di ciò che rappresenta il West Ham. E’ l’esatta contrapposizione tra working class e borghesia, tra sudore e fatica e privilegi, tra pranzi al ristorante indiano sotto casa o ristoranti gourmet.
Per questo, tutti i tifosi degli hammers che giungeranno a Stamford Bridge domani, chi in macchina, chi cambiando vettura della metropolitana a Victoria, chi in battello, saranno non semplici tifosi, ma portatori di valori ed idee che si andranno a scontrare con idee diametralmente opposte, in un epico revival dello scontro tra Davide e Golia.
Senza paura e con tanto orgoglio di essere tifosi del West Ham, cantando “Stick your blue flag up your arse” saltando per ogni singola stazione dell’underground, andiamo a prenderci questa vittoria, fondamentale per la classifica, ma ancora di più per rivendicare la nostra identità.
Nik Franchi
WE’RE WEST HAM’S CLARET’N’BLUE ARMY!!!