28 gennaio 2001…

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28 gennaio 2001: 9000 tifosi del West Ham si dirigono con ogni mezzo possibile in direzione Manchester, in casa dello United, la squadra ai tempi più forte d’Europa, senza nessun’altra pretesa tranne quella di dichiarare il proprio amore e la propria appartenenza ad un club minore, ma solo agli occhi esterni, perchè per un hammer non c’è nulla di più grande del West Ham. La partita è un monopolio United, ma il calcio, rispetto alla gran parte degli altri sport, è meraviglioso perchè sa riconoscere il coraggio, lo spirito di sacrificio, e dopo 76 minuti di sola sofferenza Di Canio si muove sulla linea del fuorigioco ed insacca alle spalle di Barthez, rimasto colpevolmente con il braccio alzato in attesa che il guardalinee accogliesse la richiesta della squadra più glamour, più influente: non venne ascoltato dagli Dei del calcio, ed il piccolo West Ham, un punto insignificante nella cartina calcistica mondiale, affossò il Manchester United, che di quella cartina occupava una fetta rivelante ai tempi.

13 marzo 2016: tante cose sono cambiate in quindici anni. Finali di Fa Cup buttate via negli ultimi secondi, l’Europa sfiorata, il quasi fallimento, la retrocessione e la successiva rinascita. Il West Ham è ormai una realtà consolidata a tutti gli effetti, il divario con lo United si è notevolmente ridotto; ma non facciamo ancora parte dell’elite, dell’establishment: troppo dura ancora per noi entrarci, scalfire quella barriera invisibile che dà il là ai sogni di gloria. Ci siamo quasi, è vicinissima, solo 90 minuti su un rettangolo di erba, solo una cosa ci separa: Old Trafford, i suoi 76 mila spettatori, ed 11 diavoli feriti che altro non vorranno che sbranare i ragazzi in arrivo dall’Est di Londra, per far capire al mondo intero che loro ci sono ancora.
Come 15 anni fa sarà una battaglia, andiamo in guerra con lo stesso numero di soldati, in netta minoranza come l’altra volta, ma si sa che i numeri contano fino a lì quando entrano in gioco la caparbietà e la voglia di arrivare..

Siamo ad un passo dallo scrivere la storia, e ritornare in quello stadio da cui manchiamo da troppo tempo: ci congedammo dal vecchio Wembley con una vittoria nel 1980, da lì in avanti l’abbiamo solo sognato, agognato, sperato ogni maggio di prendere la Jubilee Line, scendere a Wembley Park e camminare lungo la Wembley Way assieme a migliaia di compagni, perdendo il respiro davanti alle due torri ed alla Union Jack, in un tempo in cui essere inglesi e far parte del Regno Unito significava veramente qualcosa.
Un tempo Wembley veniva usato solo per la finale, le semi si giocavano in campo neutro, a significare che l’Empire Stadium (quanta magnificenza e solennità, da brividi..) era l’approdo finale, la cima della montagna, la vetta scalata: la quintessenza del calcio inglese per dirla in poche parole.
Con l’abbattimento di Wembley si è dato il via alla trasformazione radicale del calcio inglese, che ormai non ha più i connotati del vecchio beatiful game: rimane solo la Fa Cup a ricordarci cos’era e cosa rappresenta, quel cammino che inizia ad agosto e dà a tutti una chance, sorteggio dopo sorteggio, replay dopo replay, di poter arrivare in una tiepida giornata di aprile ad alzarsi in piedi e cantare con orgoglio Abide with me, urlando così forte per controbilanciare le bocche mute dei tanti, troppi nuovi spettatori che pensano al calcio come ad un semplice svago, non rendendosi conto che per molti altri il calcio è l’essenza della vita.

Domani è il gran giorno, abbiamo la concreta possibilità di riscrivere un capitolo di storia bloccato da ormai 36 anni. Ad ognuno le sue armi: ai giocatori tacchetti a 6 e parastinchi per arrivare sul pallone prima degli avversari, ai tifosi quintali di litri in corpo per sovrastare il ruggito dell’Old Trafford e dimostrare che il piccolo Davide è pronto a fare lo scherzetto al gigante Golia.

Sarà difficile prendere sonno stanotte, d’altronde chi è che ha voglia di dormire, quando si è ad un passo dalla gloria?
IRONSSSSSSSSS

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Dean Ashton, l’erede di Alan Shearer fermato dagli infortuni

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Dopo Bonds, questo giovedì andiamo avanti nel tempo e arriviamo a un calciatore che un decennio fa, tra tanti problemi fisici, indossava il Claret and Blue.
Il 24 novembre di 33 anni fa nel Wiltshire (Sud Ovest dell’Inghilterra), precisamente a Swindon, nasceva Dean Ashton. Sin da piccolo si trasferì con la famiglia a Holmes Chapel, una parrocchia civile del Cheshire distante una ventina di miglia da Manchester. Mosse i primi passi da calciatore nelle giovanili dei Potters di Stoke-On-Trent, prima che l’occhio esperto di talent scout del milanese Dario Gradi lo notò: fu allora che la sua carriera da professionista stava per iniziare, con la firma al Crewe Alexandra. Dopo un altro breve periodo nelle giovanili, l’allenatore lo fece aggregare alla prima squadra dove ottenne il primo cap a soli 16 anni, il 28 ottobre 2000 nella vittoria in trasferta contro il Gillingham in Division One. Il primo goal tra i pro lo realizzò contro il Burnley all’inizio di febbraio 2001. Nella parte finale della stagione si rivelò di fondamentale importanza per il Railwaymen, contribuendo alla salvezza del club fino a qualche mese prima insperata. La stagione successiva iniziarono alcuni problemi fisici, ma nonostante ciò segnò 10 goal, iniziò ad indossare la maglia delle giovanili della Nazionale e fu inserito da “Don Balon” nella lista dei migliori giovani mondiali. Da molti fu riconosciuto come l’erede di Alan Shearer, leggende dei Magpies e dei Rovers. Rimase a Crewe fino alla stagione 2004-2005, contribuendo anche al ritorno della squadra in Division One dopo una sola stagione (2002-03) in Division Two. Quando approdò al Norwich City era diventato il secondo miglior marcatore di sempre del Crewe Alexandra con 74 goal in 177 match. Nel Norfolk arrivò nel gennaio 2005, con un’offerta di milioni di sterline, segnò al suo debutto (22/01/2005) con la maglia gialloverde, in un Norwich-Boro 4-4.

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Terminò la stagione con 16 presenze e 7 goal. Giocò a Carrow Road anche la stagione successiva in Championship, dove riuscirono a trattenerlo fino al 22 gennaio 2006 (365 giorni esatti dal suo debutto con il Norwich) quando il West Ham se lo assicurò superando la concorrenza di Citizens e Addicks. L’affare portò nelle casse dei Canaries (e del Crewe grazie a una clausola) 7,25 milioni di sterline. Giocò per la prima volta con la nuova maglia il 1° febbraio 2006 contro l’Arsenal in una delle ultime partite ad Highbury, subentrando a match in corso. 3 giorni dopo, ad Upton Park contro il Sunderland giocò la sua prima da titolare, realizzando anche una rete davanti ai 35mila presenti. In quella stagione giocò anche tutte le partite della FA Cup a partire dal quinto turno contro il Bolton, realizzando 2 reti al City nel sesto turno e una al Liverpool nella maledetta finale di Wembley e rompendo lo zigomo di Mark Schwarzer (Boro) in uno scontro fortuito nella semifinale. Già a fine stagione iniziarono i primi problemi fisici anche in claret and blue, quando rischiò di saltare la finale a causa di un infortunio al tendine del ginocchio rimediato contro il WBA in campionato. Considerati gli ottimi risultati ottenuti nella stagione prima a Carrow Road e poi al Boleyn Ground (16 presenze e 6 goal con il West Ham in quattro mesi) era tra i papabili a prender parte alla spedizione tedesca della Nazionale inglese, salvo poi non essere convocato dal C.T. Sven-Göran Eriksson.

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Nell’estate il Newcastle United mostrò interesse nei confronti del ragazzo, ma Pardew stroncò tutto sul nascere. Nell’agosto 2006 fu convocato in nazionale per l’amichevole di agosto contro la Grecia. Il giorno prima del match, il giorno di ferragosto 2006, un tackle poco elegante di Shaun Wright-Phillips (nipote di Ian Wright, bandiera del Palace prima e dell’Arsenal dopo, con 26 presenze e 9 goal in claret and blue dall’agosto ’98 al luglio ’99) gli causò la frattura della caviglia, con il bollettino medico che fu immediatamente tutt’altro che rassicurante: stagione 2006-07 finita, prim’ancora che iniziata. La stagione si concluse con una salvezza conquistata all’ultimo respiro con una vittoria ad Old Trafford (goal di Carlitos Tevez). Ritornò a calcare il campo il 14 luglio 2007 contro il Dag&Red in amichevole. Questo evento fu accolto con stupore a causa dell’entità del problema avuto, con pochi che avrebbero scommesso un pound su un suo ritorno. I primi due goal dopo l’infortunio li segnò anch’essi nel precampionato, contro l’Orient e la Roma. La prima presenza ufficiale dopo il calvario della ripresa fu contro il City nel season opener ad UP l’11 agosto, subentrando al minuto 65 a George McCartney. La stagione, considerando anche lo stop durato tutto il 2006-07, andò alla grande: raccolse 24 presenze da titolare e 11 entrando dalla panchina, condite da 11 goal (top scorer del West Ham in quella stagione). Il 3 maggio 2008 ci fu uno dei momenti chiave della sua (ahimè) breve carriera. Ad Old Trafford si gioca la penultima partita del campionato, con il West Ham esattamente a metà classifica e lo United che lottava con Arsenal e Chelsea per la vittoria del titolo a distanza di 18 giorni dalla finale di Champions League da giocare contro il Chelsea. Dopo 26’ lo United era già 3-0 grazie a una doppietta di Cristiano Ronaldo e un goal di Tevez. Due minuti dopo, al 28’, Bobby Zamora crossa dalla tre quarti campo destra, Wes Brown (difensore dei Red Devils) la colpisce di testa alzandola a campanile, Dean Ashton fa la cosa più difficile forse, ma anche la più spettacolare nella mia opinione: prende il tempo a Rio Ferdinand e con una coordinazione pazzesca fa quello che oltremanica chiamano “overhead kick” o “bicycle kick”, la rovesciata, e insacca alle spalle di Edwin Van Der Sar. La partita finirà con un sonoro 4-1, ma questo goal sarà sicuramente ricordato più della vittoria dei Red Devils che la giornata successiva si sarebbero laureati campioni d’Inghilterra e a Mosca campioni d’Europa. Il 4 giugno 2008 firmò un contratto quinquennale, con scadenza 2013, dopo che due giorni prima aveva disputato la sua unica partita con la Nazionale maggiore contro Trinidad e Tobago. Nel precampionato segnò addirittura 6 goal su 7 amichevoli totali. 16 agosto 2008, inizio di stagione contro il Wigan Athletic ad Upton Park: doppietta e la speranza di un’altra stagione da goleador. Di lì a nemmeno un mese, 28 giorni precisamente, avrebbe giocato la sua ultima partita con il West Ham (e non solo). Difatti, a uno dei primi allenamenti con il nuovo manager Gianfranco Zola la caviglia di Dean fece crac. Fu una distorsione, che creò però moltissimi problemi al giovane (eh sì, aveva ancora 25 anni). Il recupero si prolungò per tutta la stagione (conclusa al nono posto, a due punti dall’Europa). Si dovette sottoporre a due interventi chirurgici, dopo i quali una luce di speranza per il ritorno nella stagione 2009-10 si accese. La caviglia però non rispose ai trattamenti medici come ci si augurava e all’inizio del campionato già iniziarono a circolare voci su un suo possibile ritiro dal calcio giocato. 11 dicembre 2009, con un comunicato il West Ham annunciò che Dean Ashton, a poco più di 26 anni, aveva deciso di appendere le scarpe al chiodo, dopo una carriera troppe volte limitata dagli infortuni. In totale aveva collezionato 280 presenze con i club e una con la Nazionale maggiore dei Tre Leoni, con 111 goal; con la nostra maglia furono 56 con 19 goal. A seguito del suo ritiro, sia la società sia lui stesso si appellarono alla Football Association per ottenere la prima un risarcimento, il secondo un compenso economico per la carriera interrotta a causa di un infortunio rimediato in Nazionale.

Di Angelo Hammer Ceci

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Everton – West Ham: 2-3

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EVERTON (3-4-3): Robles 6: Stones 7 (Besic 46mins 7), Jagielka 8, Funes Mori 5.5: Coleman 6, McCarthy 6.5, Barkley 6, Oviedo 6: Lennon 8 (Niasse 75mins 4), Lukaku 6.5 (Barry 89mins), Mirallas 4

UNUSED: Howard (GK), Baines, Deulofeu, Osman

MANAGER Roberto Martinez 5

WEST HAM UNITED (5-2-3) Adrian 7: Antonio 7, Kouyate 7, Oxford 5 (Carroll 46mins), Ogbonna 7, Cresswell 7.5: Noble 8, Obiang 6 (Song 60mins 5): Payet 9, Emenike 6 (Sakho 60mins 7.5), Lanzini 7

UNUSED: Randolph (GK), Song, Carroll, Sakho, Henry, Hendrie, Dobson

MANAGER Slaven Bilic 8

Goals Lukaku (13), Lennon (57), Antonio (78), Sakho (81), Payet (90)

Booked Mirallas, Antonio, Robles

Sent-off – Mirallas

Attendance 39,000

Referee A Taylor 6

Daily Mail

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William Arthur Bonds, una bandiera “die-hard”

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Anche se con un po’ di ore di ritardo rispetto alla consuetudine, eccovi il personaggio per questo giovedì, sir Bonds.
William Arthur Bonds, detto Billy, nacque circa un anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (precisamente il 17 settembre 1946) a Woolwich, il paesino del sud-est londinese dove nel 1886 fu fondato l’Arsenal e attualmente facente parte del Borgo di Greenwich.
Cresciuto nel vicino quartiere dei Eltham, iniziò a giocare nel settore giovanile del Charlton Athletic all’età di 15 anni. Dopo aver fatto la gavetta nelle squadre giovanili e nella squadra riserve fu promosso in prima squadra all’inizio della stagione 1964-65. Al “The Valley” ha giocato un centinaio di partite, giocando la prima partita nel Febbraio ’65 contro il Northampton e realizzando anche il suo primo goal da professionista.
Un paio d’anni più tardi dal nostro leggendario Ron Greenwood, facendolo firmare nel Maggio 1967 per il West Ham (al Charlton andarono 50mila sterline). Qualche giorno dopo giocò già la sua prima partita in Claret and Blue nel testimonial match di Ken Brown. La prima presenza ufficiale fu in un West Ham-Sheffield Wednesday 2-3 del 19 agosto 1967 (primo match della stagione), per il primo goal bisogna aspettare 4 mesi circa e il derby di ritorno con il Tottenham, vinto 2-1 in casa. Giocando da terzino destro, fu sempre presente nelle prime stagioni, infilando un filotto di 124 presenze consecutive tra il suo esordio e un Crystal Palace-West Ham giocato a Selhurst Park il 24 di ottobre 1970, quando si infortunò e fu costretto a star fuori fino ai primi di dicembre. In queste tre stagioni segnò anche 5 goal, tutti in First Division. A partire dalla stagione 1970-71 affiancò a centrocampo Trevor Brooking, secondo un’intuizione geniale del solito Greenwood. Gli anni ’70 furono l’apice della sua carriera: nella stagione 1973-74, terminata a un solo punto dai Saints terzultimi, realizzò ben 13 goal, comprese una tripletta al Chelsea nel marzo ’74 e una doppietta al Coventry 14 giorni dopo esatti. Quando il 14 marzo sempre del 1974 Bobby Moore lasciò il West Ham, la fascia da capitano fu affidata proprio a Billy, che la portò al braccio e la onorò fino all’ultima partita, giocata al The Dell contro il Southampton il 30 aprile 1988. Tornando indietro, il 3 maggio 1975 sollevò la seconda FA Cup della storia Claret and Blue, dopo aver capitanato la squadra in tutte le 8 partite disputate in quell’edizione. Al termine della stagione, così come già successo nel 1971 e nel 1974, fu nominato Hammer Of The Year.

pkt1936-136871 BILLY BONDS West Ham v Nottingham Forest. Billy Bonds

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BILLY BONDS
West Ham v Nottingham Forest.
Billy Bonds

Nonostante la retrocessione del 1978 rimase ad Upton Park, guidando la squadra al trionfo in FA Cup 1980 contro l’Arsenal (giocando nella competizione 5 partite). Sollevando il trofeo davanti ai centomila di Wembley il 10 maggio 1980 entrò nella storia per essere il primo (e finora unico) ad aver vinto da capitano del West Ham la Coppa.
Come detto, si ritirò 7 anni dopo aver riportato la squadra in First Division nel 1981. Già nel 1984 lasciò la fascia ad Alvin Martin, sentendo che ormai le sue capacità non erano più quelle ottimali e giocando di lì in poi solo 54 partite in tre stagioni. Il 30 aprile 1988, giorno del suo ultimo match, giocò la sua 804ª partita con il West Ham. Lasciò la squadra 7560 giorni dopo il suo primo cap, con un totale di 61 goal segnati. Dopo il ritiro, l’allora allenatore John Lyall lo nominò allenatore delle giovanili. Quando Lyall andò via, Bonds si candidò per prendere il suo posto; tuttavia la dirigenza scelse lo scozzese Lou Macari. Il suo esordio da manager, però, era stato solo rimandato di qualche mese: andato via Macari, nel febbraio 1990 sedette per la prima volta sulla panchina di Upton Park da manager. Al termine della stagione il club fu promosso in First Division e raggiunse anche le semifinali di FA Cup. La stagione seguente non fu altrettanto felice, vedendo il West Ham retrocedere in Second Division da ultima classificata. La società rinnovò la fiducia a Bonds, venendo ripagata con l’immediato ritorno nella top class l’anno seguente. L’ultima stagione la concluse al tredicesimo posto, lasciando la guida tecnica nell’agosto 1994, succeduto da Harry Redknapp. Dopo degli incarichi manageriali al QPR e al Reading ritornò a sedere in panchina da Head Coach al The Den nel maggio 1997, durando una sola stagione.
Nel 1988 fu insignito del titolo di Member of the Most Excellent Order of the British Empire da Sua Maestà la Regina Elisabetta II.

Di Angelo Hammer Ceci

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West Ham – Tottenham H. : 1-0

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West Ham (5-4-1): Adrian 7; Antonio 8.5, Kouyate 9, Collins 7.5 (Oxford 65, 6.5), Ogbonna 8, Cresswell 7.5; Lanzini 8, (Sakho 83), Noble 8, Obiang 8, Payet 8; Emenike 7 (Carroll 72, 6)

Subs not used: Randolph, Song, Henry, Dobson

Scorer: Antonio 7

Manager: Bilic 7

Tottenham (4-2-3-1): Lloris 6.5; Trippier 6, Wimmer 6.5 (Carroll 76), Alderweireld 6.5, Davies 6; Dier 6.5, Mason 6; Chadli 5 (Alli 60), Eriksen 6, Lamela 6.5 (Son 69); Kane 6

Subs not used: Vorm, Walker, Rose, Onomah

Booked: Alderweireld, Wimmer, Davies

Manager: Pochettino 6.5

Referee: Andre Marriner 7

MOTM: Kouyate

Attendance: 34,977

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