16/08/2014
Emozioni di marca british. Londra ha saputo darmi tanto in un solo giorno. Abbiamo voluto fare una pazzia. Una sfacchinata. Una inedita trasferta di tre notti nella splendida capitale inglese per respirare aria di calcio britannico e vivere con grande intensità una delle città più belle del mondo. La sera fa un gran freddo e dopo esserci ubriacati di un caldo asfissiante tra Bari e Milano, l’aria qui è tutta un’altra storia. A Londra l’autunno ha fatto invasione e cancellato agosto dal calendario. Al sole non si sta neanche tanto male, ma l’ondata di gelo dell’ombra è da pelle d’oca. Ho letto con fortuna un post sul gruppo facebook “Station 936″ dove comunicano problematiche nella linea della metro per Upton Park. Sì, vediamo il West Ham nella nostra prima inglese. Ed è già derby, contro il più quotato Tottenham del nuovo manager Pochettino. La sveglia suona presto e a Westminster è facilissimo innamorarsi di Londra, che si coccola il Tamigi e conduce verso gli orizzonti più belli. Di un mondo tanto vicino geograficamente quanto lontano, lontanissimo da noi, sotto tanti (o tutti) gli aspetti della vita quotidiana. E anche sportiva. Studiamo le soluzioni migliori per arrivarci in questa benedetta Upton Park. Liverpool Street dovrebbe essere la fermata. Ma non sarà così. Incontriamo un gruppo di gentili scalmanati già in divisa West Ham. Ci sopportano amabilmente, ci accolgono come se fossimo la Nazionale e ci portano con loro. Tra metro e treni. Parlando di Diamanti, di Capello. Del loro idolo Di Canio. E non posso che ficcarci il discorso Bari. La Bari, li correggo. Racconto della nostra passione, dei 60.000 in Serie B. E già instauriamo un gemellaggio figurato. Una stretta di mano amichevole. Sono le 12 e loro già se ne vanno al loro pub. A bere.
(l’invasore)
Poi finalmente Upton Park. Due hamburger veloci e dritti allo store. Operazioni di merchandising che in Italia stentano a decollare. Un negozio enorme che vende di tutto col marchio West Ham. E quando dico di tutto, dico di tutto. Manca l’intimo e poi qualsiasi oggetto ha la firma West Ham. Persino i materassini per andare a mare. Io prendo una sciarpa. Che non è un habitué come dalle nostre parti. La routine in Inghilterra, o almeno lì, è di indossare la casacca ufficiale. I controlli, più sicuri e più rapidi, evitano interminabili file che noi siamo capaci di creare con una semplicità disarmante. Prendere nota e appunti non sarebbe male. Nel frattempo incontriamo Sullivan, presidente-nanetto – come ribattezzato per tutto il viaggio – e la vice-presidente. Il primo un personaggio simpatico, amabilmente disponibile e che si fa contraddistinguere dal gesto del martello del West Ham ripetuto in ogni foto. La seconda evita il martello, ma è altrettanto disponibile con tutti i tifosi. Cose mai viste in Italia. Immaginereste De Laurentiis o Agnelli a farsi selfie con tutti i tifosi, rispondendo garbatamente a tutti e firmando autografi col sorriso? Un’immagine improbabile, per non dire impossibile. Forse ce la tiriamo troppo. Per cosa, poi?
Arriviamo in Alpari Stand. Siamo tra i punti più in alti, ma senza le piste d’atletica italiane è come vedere la partita dal punto più vicino. Pensate. La partita scorre con intensità: pochi tiri ma tante emozioni. È gradevole, seppur non supportata da un tifo asfissiante. E qui vinciamo noi. Almeno contro il West Ham. Gli spurs restano in dieci e provocano un rigore. E servono un piatto d’argento al West Ham. Una squadra che ama complicarsi la vita da sola. E io sono innamorato di chi si complica tutto da solo. Sbaglia il rigore, resta in dieci per il rosso di Collins e all’ultimo minuto riesce anche a perdere la partita. Sono tutti delusi, ma poi riesci a trovarli sparsi per i pub di Londra a ridersela. Perché il calcio è un gioco e come tale va preso. Almeno da parte dei tifosi.
Come quelli che ci hanno accompagnato in questa bella esperienza e con cui abbiamo scattato una fotografia. Il ricordo più importante. Sarà questa la copertina del blog, oggi. Ne ho scattate tante, anche più belle. Dal rigore di Noble, alla gioia dei tifosi, passando per i pub, Boleyn Ground all’esterno e il gigantesco store. Ho ripreso tutto. Ma non c’è nulla che riuscirà a superare il valore di un incontro prezioso come questo. Di uno scambio di culture, di chilometri e di risate durato tre quarti d’ora, mai più ripetibile, ma incastrato con perfezione all’interno di ognuno di noi. Mi hanno insegnato una cosa ed è il motivo per cui io, questo gemellaggio, lo conserverò nel cuore. C.O.Y.I! Come on you Irons!
N.B. Pubblico volentieri questo racconto di Marco Fornaro